Appartengo all’aria, alla luce, alla materia divina che impregna i fili d’erba, la terra, le nubi sfilacciate, le creste dei fiori, le piume scaltre degli uccelli, il fango degli stagni.
Volteggiare è incantevole. Puoi fare migliaia di miglia senza fatica. Dall’alto tutto è colore e profumo.
Sono tutti al lavoro nelle loro case di marzapane o sughero di montagna, resinoso, profumato.
Davanti ad ogni casa un recinto composto da conchiglie gioiose trattiene variopinte piccole galline. Picchiettano mangime minuto e scodellano uova in miniatura dal rosso dolce come miele.
Altri recinti sono costruiti con rami intagliati a formare farfalle, stelle e lune. Al centro sono poste pietre e sassi di fiume, i più belli, dilavati dall’acqua, brillano, lucidati dai raggi del sole.
Ogni qualvolta ci incontriamo salutiamo con un lieve inchino sventolando un berretto e ognuno di noi ne indossa uno diverso. Conico, rotondo, con velette, fiori, alcuni talvolta lo decorano con un motto diverso. Un incoraggiamento, una frase scherzosa, il disegno di un sorriso.
Tre volte al giorno corriamo verso la piazza al centro del villaggio. E’ il momento che amo di più. La cerimonia dell’abbraccio. Un abbraccio stretto stretto o accennato rinvigorisce il cuore e l’anima.
In fondo anima e cuore sono la stessa cosa.
Nessuno di noi potrebbe mai e poi mai rinunciare a questo momento.
Non è necessario essere parenti per avere amore.
Io non ho conosciuto mio padre, né mia madre, non saprei chi mi ha deposto in questo mondo.
Non ha nessuna importanza. Potrebbe essere stato un usignolo improvvisamente stanco di cantare o una volpe assonnata. Non abbiamo specchi e i corsi d’acqua servono per bagnarsi. Abbiamo forme diverse, ma non esiste nessuno più aggraziato di un altro. L’unica cosa che ci distingue è ciò che sappiamo fare. Se volare, produrre miele, tagliare tronchi, costruire, case, coltivare fiori, intrecciare ghirlande.
Non esiste la noia, tante sono le ore del giorno e non bastano mai. Quante carezze, corse, bagni, raccolte di more sugose, sandali di corteccia da creare. Quanti meravigliosi racconti da ascoltare di tempi passati, in cui le case erano alte come torri perché abitate da giganti fatti di terra.
Non erano cattivi, ma avevano la pessima abitudine di mangiare i fiori. Qualunque tipo di fiore, qualunque petalo anche se opaco, qualunque stelo, qualunque foglia. Il mondo con loro divenne buio. Monotono senza barbagli, una landa triste. Il suolo si sforzava di partorire fiori minuscoli, quasi invisibili, ma loro avevano un olfatto cavernoso e riuscivano ad individuarli.
Tutto ciò era molto molto ingiusto e fu deciso che sarebbe giunto da lontano un acquazzone spugnoso che sarebbe durato un mese intero.
I giganti si radunarono nei loro palazzi altissimi. Avevano ombrelli fatti di ali di pipistrello.
Non fu sufficiente. Goccia dopo goccia si sciolsero. Su quella stessa terra condita da un’immensa quantità d’acqua crebbero fiori altissimi che avvolsero i lugubri palazzi trasformandoli in apparizioni fantastiche.
Per raggiungere questo luogo sono necessari mesi di cammino in terre mai esplorate.
Se ne parla di notte davanti ad esili fuochi e ognuno di noi avvolto dall’oscurità ricostruisce a suo modo la visione della città dei fiori.
Io stessa sono una fanciullafiore.
Non sono l’unica. Le mie braccia sono lunghi steli, il mio busto perfetto nasce da una corolla formata da petali resistenti che mutano colore a seconda della luce e del mio stato d’animo.
Le gambe sono di un’ossatura lieve composta dalla polvere delle stelle fisse. I piedi minuti sono rivestiti da stivali di velluto color coccinella.
I capelli lunghissimi hanno la tinta dell’oro o dell’azzurro, ma possono diventare tempestosi se il cuore soffre. Ci divertiamo a legarli e torcerli nelle forme più svariate per assomigliare a quello che abbiamo intorno.
Così mutevole e così bello.
Ho dimenticato di descrivere le mie magnifiche ali di cristallo liquido.
Riescono a sostenermi per giorni e giorni.
Solitamente non vado molto lontano. Dormo sulle cime frondose, sui picchi innevati, sulla superficie dei laghi.
Sono bravissima ho sempre vinto le gare di sfarfallio.
Parto raso terra, quasi può sembrare che il mio corpo delicato possa ferirsi. Poi piano lentamente lenta lentissima muovo le braccia come se dovessi raggiungere una riva necessaria e inaspettata.
E salgo salgo verticale per poi arrotolarmi e comporre figure incredibili da descrivere.
Noi fanciullefiore profumiamo e doniamo a tutti una scia deliziosa quella desiderata da sempre.
Difficile non essere felici nel nostro mondo.
Ho voluto scrivere tutto questo su cortecce sapienti perché richiesto.
Richiesto da te.
Sei giunto accanto al mio recinto. Così diverso. Uno strano animale con un corpo mai visto.
Un odore nauseabondo sprigionava dalla tua pelle. Ne ‘ali, ne ‘corolle.
Una lingua sconosciuta esalavi da una bocca con labbra spaccate.
Ho intrecciato i miei capelli. Uscita dal retro della casa ho colto i fiori di mnemosine e li ho inseriti nelle ghirlande poste sul mio capo.
Per comprendere le tue parole
Non avrei voluto.
Le venature sul tuo corpo non erano simili a quelle degli alberi ma fatte da altri esseri come te. Anche la tua pelle di un orribile colore viola non era la tua, ma ottenuta con colpi, pugni mi è stato suggerito.
Il tuo odore dovuto alla sporcizia e alla paura del dolore.
Altro era scritto sul tuo corpo.
Mi hai detto che nel tuo paese eri un bambino.
Guerra hai detto.
Sono fuggito dalla guerra.
Hai preso la mia mano. La tua era calda, piacevole. Ti sei seduto e senza smettere nemmeno per un secondo di guardarmi, gocce d’acqua o forse rugiada sono scivolate sulle tue guance creando strisce di colore chiaro.
Allora ho riso nel vedere il tuo volto segnato.
Anche tu hai riso. Forte e mi sei sembrato felice
Sempre tenendo la tua mano piccola, ti ho portato sulle rive del mio lago preferito.
Vai
E ti sei immerso. Sembravi far parte ormai del nostro mondo. Non eri forse un pesce?
Nuotavi e poi ti immergevi. Per un tempo infinito. Mi sono addormentata sulla sabbia sotto una luna tonda e accogliente.
No, non eri un pesce, ma avevi ora un colore bianco e luminoso, che rendeva ancora più impressionanti quelle rosse cuciture sulla tua pelle.
Forse la pelle degli umani, e tu lo eri, cambia come quella dei serpenti e la tua si era rotta e ti avevano dovuto rammendare, come capita a certe fanciullefiore che strappano la corolla correndo fra le rose.
No mi hai ripetuto. Sono stati gli altri.
Gli altri chi?
Gli altri
Perché siete diversi fra voi?
Si
Non esiste la diversità
Certo che esiste, anche voi lo siete
Cosa?
Diversi
No. Siamo tutti uguali. Non importano i colori o i profumi differenti. Possiamo abbracciarci e mangiare le stesse foglie, le stesse bacche e consolarci e accarezzarci.
Sei diventato triste. Ancora quelle strane gocce a rotolare dai tuoi occhi.
Allora ho cercato e trovato una conchiglia e le ho raccolte e bevute
Hanno uno strano sapore
Sono salate hai detto
Sale? Non lo conosco
Infatti da voi è tutto dolce
Vedrai anche le tue lacrime lo diventeranno
Aiutami
A fare cosa?
A trasportare il vostro mondo nel mio
Impossibile troppo piccolo. Si smarrirebbe. Puoi portare se vuoi altri “uomini” nel nostro
Allora scrivi qualcosa che io possa tenere sempre con me
Non puoi rimanere? Se rimarrai le tue lacrime si trasformeranno in miele, perle rilucenti di miele
Voglio abbracciare i miei genitori
Cosa sono i genitori
Quelli che mi hanno messo al mondo
Sono solo due?
Certo
E hai riso
Ridendo il tuo viso assomigliava alla testolina di una lumaca curiosa
Certo. Due
Allora vai e ritorna con loro
Lo farò. Aspettaci
In quel momento le stelle si sono accese nel tuo sguardo cavo
Questa è per te.
La corteccia da me incisa dorme beata in una scatola costruita con arte dai castori dal pelo cremisi.
Grazie. La porterò agli uomini per mostrargli che può esistere un mondo diverso
Si è poi girato ed è scomparso nel folto del bosco
Sono sicura di aver sognato
Accade spesso che immagini volanti escano silenziose dalle orecchie di alcuni per veleggiare anche per distanze infinite
Certamente è stato così
Non può esistere un mondo tanto cattivo
Un mondo che fa piangere lacrime salate
Giovanna Arciprete
LABORATORIO DI NARRAZIONE
La Fanciullafiore e lo gnomo malato
Sorvolo rapita il mio mondo fantastico in cui la luce non teme la sua generosità e dona vita
ad ogni creatura, accarezzando petali smorti, radici troppo sporgenti, cavità oscure, recessi
insostenibili, gambi curvi, sassi convinti della propria inutilità che tornano a risplendere
anche senza le onde del mare.
Il profumo risvegliato dal calore permette alle mie ali di battere, alle corolle indossate sui
miei piedi di mostrare orgogliose i loro petali, al vestito di foglie d'acanto di veleggiare fra
le correnti d'aria.
Poi lo vedo.
E' rannicchiato. Il mio gnomo, colui che sa raccontare come nessun magoparlatore sa fare.
Cosa succede amico mio? Ho paura che sia malato. Ha gli occhi infossati di chi da tempo
non conosce sonno.
Sof ro tanto
Af ari di cuore? e vorrei sorridere, ma le mie labbra rimangono immobili.
No, è qui. Indica la sua piccola bocca a cuore. Noi tutti abbiamo la bocca a forma di cuore,
per poter pronunciare solo frasi d'amore.
Apri e fammi vedere
No
Ti prego. Gli afferro il piccolo mento rotondo
Vi devo spiegare una cosa. Nelle illustrazioni delle nostre pergamene di corteccia gli
gnomi dei mondialtri sono piccoli e rachitici esseri dai tratti deformi.
I nostri gnomi, invece, sono come noi, di minima statura e tratti del volto perfetti. Anche il
loro svelto corpo è muscoloso e danzante, danzante, perché ogni muscolo guizza,
mostrandosi rivolo bluastro sotto la pelle diafana.
Lascia cadere i lunghi capelli color del sole sul viso alterato da un gonfiore verdastro.
Verdastro!
Lilas! e gli alzo brusca il volto. Fammi vedere
I suoi denti sanguinano, ricordano la lava fusa di un vulcanocattivo
I vulcanicattivi si trovano lontano, ma sputano calore e fiumi di fango bollente per divorare
tutto quello che incontrano.
Da quanto tempo?
Non saprei, molte lune e albe e poi albe e lune in un lungo corteo
Tanto dolore?
Si e sputa una chiazza di sangue, ombra rossastra a lambire un cespuglio che si ritrae
indispettito.
Vedi, tutti fuggono, nessuno si avvicina più. Sei stata l'unica a farlo.
Ti aiuterò, vieni. Lo faccio lentamente salire sulle mie spalle.
Noi fanciullefiore siamo più grandi e più forti degli gnomi
Stiamo volandoo grida Lilas
Si, ma non riempirmi di sangue ti prego
Sangue! Si avvicina curioso bisbigliando un calabrone rastremato
E' forse ferito? Avete bisogno di un Kurator?
Signor calabrone, la bocca dello gnomo sanguina!
Bene so dove condurvi
Ti fidi? Chiede Lilas preoccupato
Si certo, il signor calabrone mi ha sorretto le spalle incurvate dal dolore in una nottefosca,
cullandomi con il suo ronzio.
Voliamo senza guardare cosa scivola sotto i nostri corpi. Non voglio sapere dove andremo.
Eccoci arrivati!
Il calabrone rastremato atterra in una radura. Cespugli dall'intenso profumo, cosparsi di
bacche meravigliose, iridescenti, quasi aurore sciolte nel crepuscolo, circondano una casa
non casa. E' talmente particolare da ricordare le torri dei giganti posate sulle case degli elfi.
Ogni edificio ha una forma e un colore diverso, quasi mille e poi mille arcobaleni si
fossero drizzati e poi incurvati secondo il desiderio del suo creatore.
Il calabrone bussa con la sua zampa ad una porta di cristallo.
Avanti!
La voce è flautata. Ricorda lo stropicciare gioioso dei canti degli uccelli in procinto del
viaggio che li condurrà in terre sconosciute.
Un uomo si avvicina morbidamente. I suoi passi veleggiano sul pavimento di ametista, gli
occhi hanno il colore delle pietre dure che rilucono sugli anelli delle fatesignore.
Si poggiano con dolcezza estrema sullo gnomo quasi in un abbraccio silenzioso.
Seguimi
Lilas non ha alcun timore
L'uomo è alto, elegante, ricorda le immagini del re dei Montinevosi, Axel il Senzapaura.
Li seguiamo mentre il pavimento d'ametista si trasforma in lastre di giada venata delle
preziose miniere dell'Altrove.
Siediti e indica a Lilas una poltrona dal colore fra il verdeazzurro e il rosavioletto.
La cosa bizzarra è che lo abbraccia. La poltrona avvolge Lilas come in un bozzolo.
Non lo trasformerà in una farfalla? Chiedo preoccupata
No
Vieni qui signorina, fatti guardare
Sei una fanciullafiore, i tuoi sono denti sono sanissimi come i petali del girasole prima che
lasci cadere a terra i semi gialli per poi rinascere infinite volte
Mi tende una mano candida e liscia, simile alle corolle delle rose muschiate.
Lei è una rosamuschiata?
Mia madre lo era
Sfiora con le sue mani la piccola bocca di Lilas, il piccolo cuore si schiude.
Bene, il vostro amico non ha nulla di grave e poi comunque io ho il potere di guarire
qualunque malattia.
Lei è forse Dioskurides? Sono strabiliata di avere questo onore. Le lacrime scivolano dalle
mie ciglia verdi e inumidiscono le foglie che ornano il mio collo.
Mi raccomando nessuno deve sapere dove abito. Saranno gli altri a venire da me.
I veri malati conoscono la strada del mio cuore e sapranno raggiungermi.
La sua antica sapienza non è dunque per tutti?
No fanciullafiore qui, e indica il suo laboratorio dove gli alambicchi si rincorrono, phiale
capovolgono il loro contenuto nell'aria mentre compunti grandi vasi di maiolica o vetro
opalescente rimangono impettiti al loro posto.
Qui possono entrare solo coloro che sanno cos'è un sorriso, un abbraccio, un sogno, che
riescono a riconoscere un cuore in una tempesta di neve.
Altro non posso dire
Nel frattempo Lilas volge verso di noi il suo viso.
Ride e danza volteggiando in capriole e trottole scherzose.
Sei dunque guarito?
Mai stato meglio
Improvvisa una musica meravigliosa si diffonde nella stanza, il soffitto è una cupola di
lapislazzuli lucenti e il profumo della rosa muschiata avvolge qualunque altro odore o
dolore di passati remoti e densi di ombre.
Ci risvegliamo davanti alla casa dello gnomo.
E' stato un sogno? Ci chiediamo allo stesso tempo
No e sfioro la guancia di Lilas
Guardate
Un minuscolo petalo di rosa muschiata è adagiato sulla sua pelle rosata.
Il calabrone rastremato si avvicina e con i suoi occhi sfaccettati esclama,
E' scritto!
Lasciatelo non lo staccate volerà via quando sarà il momento
Cosa c'è scritto? Chiediamo ansiosi
Il calabrone sorride come può sorridere un insetto
Arrivederci
C'è scritto arrivederci
E vola via
Giovanna Arciprete
ra ho coniugato scrittura ed educazione. Ho fondato ( per poi apparire solo come figurante per squallidi cavilli burocratici) il servizio educativo del parco archeologico di Ostia antica. Ho ideato e scritto I Quaderni di Cartilio (sono pubblicati sul sito ufficiale del Parco e a breve andranno anche in stampa) non solo per ragazzi, ma per far comprendere a tutti la magnificenza della storia e di quello che è intorno a noi, che diamo colpevolmente per scontato.
La storia della Fanciullafiore e dell'elfo Gabriel
La stanza è dorata dalle prime luci dell'alba che interrompe delicata e sinuosa il mio sonno.
Devo correre. L'elfo che amo sta per partire. Un lungo viaggio lo porterà lontano dalle mie
ali, dai petali della mia corolla, dal mio sguardo spremuto direttamente dal cuore.
Buongiorno fanciullafiore!
Eccolo. Ha le mani nascoste dietro il dorso. Sorride. E' bellissimo. Il sole sta alzando il suo
velo e pare aver scelto solo lui da far risaltare in questa tersa giornata di sextembrae.
Gioca con i lunghi capelli biondorosati, con le ciglia lunghissime che quasi non
permettono di intravedere occhi azzurri come le nevi prima che si trasformino in ghiacci.
Guarda!
Nel suo palmo una sfera di cristallo di rocca.
Con questa potrai vedermi ovunque sarò
Sei sicuro di voler essere osservato? E se volessi avvolgere nel mantello della segretezza le
tue albe e i tuoi tramonti?
Senza di te lo scorrere del tempo non avrà più senso, tu mi aiuterai a scandirlo
Quando tornerai? Chiedo volgendo lo sguardo, perché non veda la mia lacrima rotolare e
rimbalzare.
Devo rendere felice una terra desolata, arida, sconsolata dove esseri dai contorni
indefiniti si aggirano disperati
Cosa potrai fare per loro? Chiesi stupita
Amore
Amore? Se non hanno un cuore, come farai ad insegnarlo?
Sarò io a crearlo. Lo trarrò dal loro passato che hanno dimenticato e sepolto. Un immenso
cimitero di ricordi. Tante fosse senza un nome. Tombe anonime in cui sono sotterrati
abbracci, baci, stupori, risate, corse, compleanni, nascite, dolore, morte. Hanno sepolto
libri, poesie, memorie, per essere spettri, illudendosi in questo modo di mai più sof rire.
Ora non trovano più la strada del ritorno. Vogliono tornare a nascere, a sof rire, gioire e
morire.
Ce la farai ne sono certa. Lo rassicuro
Mi avvicino e tendo la mano
Gabriel poggia dolcemente la sfera nel palmo e poi serra forte la mia mano. Chiude gli
occhi e teneramente abbassa anche le mie palpebre sottili.
Attendo
Già so
Il mio sguardo fruga il giardino.
Vuoto
Devo darmi da fare, non pensare l'unico antidoto, muovere le mani e lasciare la mente
riposare.
Entro veloce in casa, nel cassettino istoriato di colorati sugheri e perle di vetro trovo le
chiavi della sua casa.
Tornerà. Deve tornare.
Aprirà la sua porta godendo del profumo di una dimora pervasa da fiorisemprevivi,
pavimenti dalle tarsie di gaietto e alabastro, arrederò le sue pareti con i quadri dipinti tanto
tempo fa dagli Elfipictores.
Vuoterò i vecchi armadi e ne farò intagliare di nuovi dagli scoiattolindustriosi. Laverò i
suoi vestiti nel fiume sempreazzurro, stendendoli ad asciugare sui rami offerti gentilmente
dagli alberi tessitori.
Li piegherò con cura imprimendo un bacio su ogni piega perché siano perfettamente stirati.
Le immagini hanno velato i miei occhi. Sono giunta davanti alla sua casa. Il cancello si è
aperto al mio passaggio augurandomi il buongiorno.
Non devo nemmeno far girare la chiave nella serratura, la porta gentile si apre facendosi da
parte.
La luce si accende. Corro ad aprire le finestre.
Ormai il sole è alto e rende ancora più crudo ciò che si presenta ai miei occhi.
Le pareti sono nude. Spoglie, prive di vita.
Solo chiodi, tanti chiodi.
I chiodi raccontano un addio. Sono un addio.
Ha portato con se' o ha distrutto.
Lui per primo ha dannato la sua memoria.
Si è privato di un passato. Anche una cornice sghemba può parlare e rammentarti un giorno
in cui il ritratto e il vetro sono caduti schizzando frammenti irriverenti sul pavimento.
Anche una foto sfocata scattata da una mano impaziente o goffa narra un segmento di vita.
E' il segnalibro che ferma una pagina o il ricordo di un'immagine strappata minutamente.
Nessuno è privo di passato, rimane tatuato nella nostra mente e nel nostro cuore. Possiamo
solo accettarlo. Covarlo amorevoli come un uovo in attesa che nasca un pulcino da
imbeccare.
Insegniamo ai frammenti oscuri a volare, disperdiamoli come aquiloni.
Questo è il segreto della libertà.
Chiudo alle mie spalle la porta. Ho dovuto insistere perché la casa mi implorava di restare,
di non lasciarla sola, di rimuovere almeno tutti quei chiodi a cui non era attaccato nulla se
non il vuoto.
Tornerò promisi
Mi alzai in volo e arrivai al cospetto dell'Elfo Supremo.
Cosa ti porta qui mia cara?
L'elfo Gabriel
Siedi
Mi prende le mani e trova nella tasca del mio rosso corpetto la sfera di cristallo.
Te l'ha data lui
Non è una domanda, ma un'affermazione.
Non funzionerà
Lo so risposi
Dov'è andato? Chiesi
Nella Terra Sapienziale
Sgranai gli occhi
Un paese remoto dove esistono solo archivi e biblioteche. Chi ha perso la memoria sa che
solo in quel luogo potrà ritrovarla.
Viaggiare a ritroso senza bisogno di ali, leggendo pagine e pagine, volumi alti come le
cime dei Montistellati.
Spesso le pagine non amano essere lette, scoperti i loro segreti e sfuggono all'intorno. Alle
pareti sono appesi retini per poterle catturare.
Vedrai, tornerà e sarà diverso. Non avrà bisogno di chiodi. Le immagini si
arrampicheranno da sole sulle pareti ora spoglie.
Vai ora
Decisi di passare dalla fata Aurora. Le sue scarpe intessute sono meravigliose. Ne ho
comprate ben sei paia.
Ecco ora le indosso davanti al mio specchio dalla cornice di rose.
Fanciullafiore fanciullafiore
Chi è che mi chiama?
Fuori non c'è nessuno. Poi ricordo e vedo una luce provenire dal luogo del mio cuore.
La sfera!
Gabriel mi sorride circondato da volumi, le lunghe dita a fermare una pagina che pare
ribollire di rabbia.
Ti amo fanciullafiore sono qui per questo. Per imparare ad amare. Solo ritrovandomi
potrò sentirlo battere, non solo un organo che pompa sangue, ma un universo intero che si
schiude e in cui ci sei tu. Il mio cuore.
Raccolgo una lacrima e la poggio teneramente sulla sfera
Gabriel la raccoglie. Si trasforma in una penna di vetro soffiato.
Finalmente! Proprio ciò di cui avevo bisogno! Afferra un quaderno dove le righe si
formano mentre scrivi e la usa con la forsennata violenza di una spada. Poi si ferma.
Nulla così andrà perduto. Grazie
Ripongo la sfera nel mio cassetto. So che rimarrà invisibile a lungo.
In fondo per noi un secolo equivale ad un istante
Giovanna Arciprete
Mi definisco un’archeologa umanista perché ciò che in tanti anni e forse secoli ho imparato è un pane che preferisco spezzare con gli altri piuttosto che vederlo indurire nella madia.
LA FANCIULLAFIORE NARRAZIONE OFFERTA DALLA D.ssa GIOVANNA ARCIPRETE
La meravigliose saga della Fanciullafiore
L'Universo che è in noi svelato da favole che abbiamo ascoltato e poi
dimenticato.
La Fanciullafiore e l'Elfo Mar
Uno dopo l'altro colgo i fili d'erba dei prati sterminati. Sono azzurri e riflettono il cielo in ogni sua
sfumatura accogliendo anche il rosato biancore lucente delle nuvole.
Le nostre nuvole si lasciano accarezzare e solleticare, ridendo e girandoti intorno come in una giostra
multicolore.
Impossibile non rimanere affascinati dai loro giochi.
Ora si sono sedute.
Oggi.
Stranamente.
Mi aiutano ad intrecciare i fili d'erba morbidi e profumati per farne una coperta. Senza decorarla con i
petali.
Sono la fanciullafiore e i fiori nel mio paese sono esseri viventi, anche le api giocose non cercano il nostro
nettare pungendo. Siamo noi che durante le feste kaleidoscopiche lo versiamo in grandi tini di legno.
E' così bello vedere le api che si tuffano e riemergono per poi volare intrise a spargere tenerezza in altri
luoghi dove gli esseri viventi sono frastornati dal loro stesso dolore.
Mi accuccio mentre una nuvola dagli occhi di smeraldo poggia la sua piccola testa ovattata sulla mia
spalla.
Hai capito vero?
Si
Il tuo elfo sta morendo
Stende le sue mani trasparenti sui miei occhi
Il velo di lacrime si trasforma in una rete d'oro con cui acconcia i miei capelli
Vai. E' tempo, non attendere, corri se puoi prima che gli alberi della foresta primigenia si incurvino
trasformando il percorso in un invalicabile astioso ostacolo.
L'Elfo mi notò un giorno osservandomi nascosto fra le lanuginose pecore che alleviamo perché ci tengano
compagnia nelle notti piovose.
Danzavo sull'acqua, sollevando spruzzi alti fino al cielo che bonario e paziente si lasciava bagnare.
Rimase incantato.
Si avvicinò esitante come fanno le farfalle quando sfiorano i nostri volti così fragili.
Io lo vidi al centro del sole. Mi strofinai gli occhi pensando di sognare o che la fata volpina avesse gettato
su di me la rete da pesca.
Quando la fata volpina vuole catturare la tua mente ti avviluppa in una rete le cui maglie si allargano in
vuoti che improvvisi poi spariscono.
Poi mosse un passo e vidi che il sole era alle sue spalle.
Non avevo mai visto un essere tanto bello, fatto di carne, con muscoli guizzanti, quanto noi siamo
intessuti di petali leggeri.
Sei molto bella
Rimasi abbagliata dalle sue parole, zampilli scroscianti nelle mie orecchie abituate solo al sussurro dei
fanciullifiore.
Le tue parole rotolano dissi
Lui rise e il suo canto, perché pensavo che fosse un canto, mi parve incantevole.
Sono solo parole
Si stava avvicinando. Indietreggiai pronta a spiccare il volo, quando allungò una mano.
Mi fermai e la presi fra le mie.
La sua infinitamente più scura copriva interamente la mia, quasi al confronto un pallido piccolo insetto.
Mi chiamo Mar e incavò i suoi occhi nei miei.
Gli occhi non possono abbracciarsi, ma i nostri lo fecero.
Puoi lasciare la mia mano? Ho paura che possa seccarsi
Lasciandola andare sorrise
Denti bianchi come il vagare della luna in cerca delle sue stelle
Noi elfi dei boschi siamo portatori di stille vitali. Viviamo appartati in case costruite con resistenti
cortecce, invisibili a tutti gli estranei. Abbiamo città infinite e il compito di proteggere il sottobosco e gli
alberi svettanti che riconoscenti ci nutrono con la loro linfa.
Capisco, ma non comprendo come mai tu sia così..così..
Alto?
Si
E...
Grande?
Si. Di solito gli elfi sono giocondi esseri minuti, non più grandi di un cucciolo di pettirosso.
Perché siamo simili ai tronchi possenti, da loro originati.
E vivete in eterno?
No, ognuno di noi ha il suo tempo già segnato. Quando il suo albero smette di tendere i rami verso il
cielo, noi ci addormentiamo.
Per sempre?
No, ci trasformiamo in un altro albero, piccolo, denutrito, sfaldato, miserabile e lo rendiamo magnifico e
invincibile.
Allora mi accostai e sfiorai il suo volto bruno, inspirai il suo penetrante e aguzzo profumo di sottobosco.
Immaginai foreste ombrose, cespugli irrorati da bacche rosse e fragranti, la luce a formare arabeschi
aggraziati attraverso foglie verdi e lucenti.
Andiamo a visitare il tuo mondo. Iniziai a sbattere le mie ali. Ti porterò io.
Sono troppo pesante. Cadremo ed io non voglio perderti.
Non mi perderai so sfruttare le correnti come nessuna fanciullafiore sa fare.
Ho il timore di incrinarti.
Non accadrà.
Volammo e volammo fino ad arrivare di fronte ad un muro altissimo.
Le Casetorri dei giganti! I giganti che si nutrivano di fiori!
Ma no, guarda..
Batté le mani e un varco luminoso si aprì.
Entrammo. Ogni tronco si abbassava per osservarmi e visitai la loro città, le loro case di corteccia e ne
rimasi incantata.
Ero trafitta da talmente tanti sguardi da poter colmare tutti gli anni a venire.
Sguardi curiosi nel vedermi volteggiare per scrutare meglio dall'alto, in realtà per stare da sola e
comprendere in cosa lui fosse tanto diverso e perché sentivo quella musica ardere dentro di me.
Posso restare?
No, tu sei leggiadra e noi pesanti e possenti. Potremmo involontariamente schiacciarti anche se
pensandoci bene potrei costruire una casa tanto solida che nessuno potrà mai abbattere. I Kastori sono
dei veri maestri in questo!
Io sono amica dei Kastori, nel mio paese sono benvoluti e sono ingegneri in grado di fermare il flusso di
un torrente in piena
Allora farò così e prese la mia mano con una tenerezza mai avvertita prima nemmeno quando le nuvole
mi accarezzavano per farmi dormire.
Ti accompagno
Arrivammo alla fine o all'inizio della foresta, ma prima gli chiesi di indicarmi quale fosse il suo albero.
Lo saprai un giorno e spero che lui viva tanto a lungo da potermi nutrire per un tempo infinito.
Volai veloce battendo le ali come mille colibrì.
Volevo trovare il Gran Kastoro sveglio e non ubriaco di sidro.
Accettò il lavoro.
Dovevo aspettare solo un giorno perché impegnato nell'ultimare una diga gigantesca.
Le ore non passavano.
Il canto dell'elfo e il suo profumo mi raggiungevano ovunque percuotendomi e facendomi male.
Volevo sentire ancora il calore della sua mano e scambiarci gli occhi.
La nostra Casakastoro sarebbe stata la più bella del bosco e io lo avrei protetto rendendolo immortale.
Potevo farlo. Avrei chiesto aiuto alla Fatapiccina che era colma di una sapienza antichissima.
Mi svegliarono urla e pianti
Corsi fuori dalla mia casa dai muri fatti di petali smessi.
Le lontre maculate che vivono al di là del fiume stanno distruggendo la foresta degli elfi!
Creature di ogni tipo correvano, volavano, gridavano.
Volai anche io seguendo un coleottero.
Le lontre pelose dell'altro versante erano intente ad abbattere gli alberi.
Uno dopo l'altro senza pietà
Forse il suo era ancora in piedi, ma ignoravo quale fosse.
Non potevo indagare perché il popolo che abitava la città dei tronchi era intento a fuggire.
Conosci Mar?
Conosci Mar?
Conosci Mar?
Incredibilmente nessuno rispose. Mi guardavano per poi immergersi in una fuga disperata.
Dovevo andare. La notte non doveva sorprendermi.
Sarei tornata all'alba
Alle prime luci, con la testa ornata dalla rete d'oro creata dalle nuvole, giunsi all'inizio o alla fine.
Il muro scomparso.
Rami e brandelli di corteccia.
Avevano divorato anche il sottobosco.
Poi lo vidi
Era riverso e scoiattoli pietosi gli bagnavano la fronte sudata.
Mar, sono io
La fanciullafiore? Ti aspettavo, sapevo che saresti venuta. Il mio albero è morto, sono felice che tu sia qui
e tese la sua grande mano scura e ancora calda verso di me.
Ti porterò in volo dalle api multicolori. Conoscono unguenti e medicamenti. Guarirai e troveremo un
altro albero che possa donarti la sua linfa.
Non è possibile. Noi siamo legati ad un solo albero per una sola esistenza.
E la nostra casa? Il Gran Kriceto verrà domani per costruirla, non posso avvertirlo, è tardi ed è molto
permaloso.
Sorrise e lo rividi come la prima volta, al centro del sole.
Eravamo stati insieme solo due giorni.
Due giorni che avrebbero reso la mia immortalità una cupa sequenza di giorni.
Tornerai a giocare nell'acqua del tuo lago. Passerà. Tutto passa e reclinò la sua testa dai lunghi capelli
setosi sulle mie mani di corolla.
Avevo con me la coperta di fili d'erba e la adagiai con cura sul suo corpo.
Poi andai via senza voltarmi.
Giovanna Arciprete
La Fanciullafiore ricorda
La storia di Axel
Nel mondo dell'Altrove esistono Bianche Montagne dai declivi ghiacciati, crepacci bui quanto il fondo degli abissi, le cime svettano arroganti accumulando fiocchi di neve per poter bucare il cielo e renderlo simile ad una rete da pesca con cui catturare le nuvole.
In una grotta naturale ai piedi di un dislivello meno impervio abitava un cane tanto alto da sfiorare il soffitto della grotta. Il suo nome era Senzapaura. Viveva da anni al buio lumeggiato raramente dal sole e tanto triste quanto può esserlo un elfo durante la festa delle Kalendule. Aveva bisogno d'amore come la terra del suo nutrimento.
Dopo un lungo ciclo di aspre solitudini scoppiò un temporale devastante tipico del mondo dell'Altrove concepito per rendere deserta la felicità.
Senzapaura si recò sconsolato ad ostruire la sua caverna con un grosso masso, quando sentì:
Posso entrare?
Si guardò intorno alla ricerca della voce, forse era stata l'immaginazione fatta fiorire dalla lunga cecità alla realtà.
Abbassò lo sguardo e vide un bellissimo cucciolo di cane, dal pelo marezzato. Qualcosa si ruppe nel suo cuore, come guscio d'uovo, frutto nascosto nel duro involucro.
Fece così male che dovette sedere.
Certo rispose
E avrebbe voluto dirlo cento, mille volte. Il cucciolo si sgrullò il pelo bagnato creando pozze sul terreno.
Tieni e Senzapaura gli porse un lembo di tessuto trovato, un tempo, nella fenditura di una roccia.
Brilla! Gridò estasiato il piccolo.
Era vero. Forse intessuto dalle farfalle che lasciano sempre cadere, cucendo, la polvere dalle ali.
La lucentezza evidenziò i grandi occhi già buoni e una corporatura tanto simile alla sua che poteva essere suo figlio.
Da dove vieni?
Non so
Come sei arrivato fin qui?
Non so
Non hai una mamma?
Non so
Risero gorgogliando, perché i cani dell'Altrove ridono in questo modo.
Allora ti chiamerò Nonso
No
Perché?
L'unica cosa che ricordo è il mio nome, Axel
Ma è il nome del nostro re, il sovrano dell'immensità innevata, il marito della regina dei ghiacci eterni. Vivono nel loro castello dalle finestre serrate...Perché un raggio di sole potrebbe sciogliere il loro volto bellissimo
Vieni dal Castello dunque?
No, non sono fatto di ghiaccio.
Senzapaura allungò la zampa possente e sfiorò la sua calda lanugine.
Domani usciremo da qui per raccogliere morbide erbe e costruire per te un luogo comodo dove dormire.
Va bene papà
Papà? Chiese, ma il cucciolo già dormiva fra le sue zampe, quasi colonne a sorreggere le travi di un tempio.
Senzapaura non si mosse per una notte intera, trattenendo quasi il respiro. Era la prima volta che avvertiva il calore di un altro da sé.
Alle prime luci dell'alba, dopo un'aurora verde e rosa, Axel stirò le sue lunghe zampe ambrate.
Andiamo?
Uscirono correndo. Le orme sulla neve formavano magnifici disegni e la sua coltre tanto impalpabile che quasi non si affondava.
Camminarono a lungo, finché il sole non fu al centro esatto del cielo.
Eccoci arrivati, questa è la foresta del mio amico Gnomosenzapaura.
Ha il tuo nome?
Si abbiamo avuto molte avventure insieme, affrontato i Draghicerberi, le Arpiemorsicatrici, il Vuotomaledetto.
Il Vuotomaledetto?
Si, la prova più dura, perché non è fuori da te, ma dentro la tua anima. Crea uno strazio profondo, una cicatrice che non smette un istante di sanguinare. Provi a lanciare intorno a te uno sguardo disperato per cercare un aiuto. Che non verrà.
Io e lo Gnomosenzapaura ci guardavamo e tendevamo le mani, senza che mai riuscissero nemmeno a sfiorarsi.
Poi un giorno cominciai a sentire dentro di me un calore. Piccolo, breve, uno svolazzo di luce. Mi concentrai perché potesse aumentare. Ad ogni respiro il calore si espandeva.
Riuscii a toccare lo Gnomosenzapaura. Eravamo liberi! Ci abbracciammo e tornammo nella nostra foresta.
Eccolo, sta arrivando. Andiamo!
Un omino curvo come un bastone da pastore sorrise ad Axel.
Seguitemi, disse e con un'agilità sorprendente si arrampicò sulla testa del Canesenzapaura.
Portava un grosso cesto che messo nella bocca del cane pareva un guscio di noce.
Lo gnomo conosceva ogni pianta, ogni albero, ogni frutto, ogni fiore. Li sfiorava con una grazia profumata e una leggerezza rispettosa. Loro stessi indicavano cosa raccogliere, per rendere la loro caverna un paradiso nascosto fra i bui crepacci del gelido Altrove.
Tornarono a casa che già la notte si era addensata sui loro occhi.
I due cani erano stanchissimi e scostato il pesante masso dall'ingresso si misero subito a dormire. Questa volta abbracciati. Ognuno la casa dell'altro.
Il giorno dopo sparsero sul terreno canne fluenti come capelli ricoperte da un tappeto di foglie dai colori intensi. Alle pareti rami intrecciati sorreggevano corolle di fiori. Si trattava dei fiori sempiterni.
Mai uccidere un essere vivente, strappare uno stelo, che dopo un minuto si affloscerà vittima di una morte insensata.
I fiori sempiterni hanno bisogno solo di carezze amorevoli.
Che te ne pare? Chiese Senzapaura
E' meraviglioso e i profumi trasformano in brezza colorata ogni mio respiro, penetrando e scorrendo fino al cuore. Disse Axel.
Domani, se vuoi, torneremo dal nostro amico gnomo per farci raccontare una storia.
Con questa promessa il cucciolo dormì sereno.
Già al primo barbaglio dell'aurora Axel era pronto ad uscire.
Hai mangiato le tue uova?
I cani dell'Altrove ghiacciato mangiano uova donate dagli uccelli che ne producono talmente tante che i loro nidi sono alti come ciminiere.
Si papà
Senzapaura raccolse questa parola per custodirla quale bene prezioso.
Il piccolo uomo dal berretto verde smeraldo li stava aspettando seduto su un troncosedia. Aveva fra le manine ricurve uno strano oggetto.
Cos'é? Chiese il cucciolo prima ancora di sedersi.
Un libro
Un libro?
Si un oggetto magico attraverso cui viaggiare e sognare
Axel lo aprì, sui fogli minuscoli segni neri coprivano fitti fitti ogni spazio.
Fogli sottili donati dai papiri. Loro stessi li intessono e li donano, quando qualcuno di loro deve rinunciare a foglie diventate ormai troppo lunghe. Spiegò lo Gnomosenzapaura
E quei piccoli segni?
Sono lettere. Ad ogni lettera corrisponde un suono e ogni insieme di lettere forma una parola. Puoi leggerla dentro di te o a voce alta. Senti, “ La luna strappò i sogni dei cuccioli dalle loro tane per donarli ai lunatici che ululavano disperati perché non sapevano sognare...”declamò pomposo l'omino.
Axel tremava e decise che i libri non solo non erano simpatici, ma che non avrebbe mai imparato a leggere.
Lui pensava.
Non fu così.
Durante una passeggiata in quella che era ormai anche la sua foresta inciampò e cadde.
Ma insomma dove stavi guardando!?
Davanti a lui si trovava la creatura più bella che avesse mai visto. Nessun fiore foglia ramo albero chioma stella cielo luna potevano uguagliare la sua perfezione.
Capelli scuri a formare onde come dovevano essere quelle del mare. Un vestito bianco e sottile di petali di margherite sempiterne la avvolgeva. Su tanto bianco spiccavano i suoi grandi occhi scuri velati da una lunga e morbida peluria, che (seppe poi) prendeva il nome di ciglia.
Era minuscola, per questo non l'aveva vista, mentre, il tempo dal volo veloce aveva reso Axel un cane gigantesco proprio come Senzapaura.
Come ti chiami?
Sono la Fatadeilibri
Axel si scostò impaurito
Libri? E fece una smorfia.
Si, libri. Ne hai paura?
Si
Axel raccontò la storia narrata dallo gnomo.
La piccola fata rideva sussultando tanto che il cane iniziò a preoccuparsi.
Che sciocchezza! Ogni libro è diverso!
Non sono fatti tutti con il papiro?
A parte che alcuni sono creati dagli scoiattoli editori con cortecce lavorate con tanta sapienza da essere quasi trasparenti, ma in ognuno c'è una storia diversa. Sono esseri come noi. Noi non siamo forse diversi? C'è la fata cattiva, la buona, quella dei ghiacci immortali, gnomi ridenti, gnomi dai denti affilati, cani ringhianti o dolci come il tuo sguardo.
Axel tese la zampa e la poggiò delicatamente sulla testa della fata. I suoi capelli profumavano di ricordi.
E vide una fanciulla dalle trecce di ghiaccio che lo accarezzava con mani gelide, ma colme di amore. Era nato nel Castello. Doveva tornare. Era tempo.
No aspetta esclamò spaventata la piccola fata. Andiamo prima da Pampuelo.
Chi?
L'albero che conosce il passato, il presente e il futuro.
Salì sulla testa di Axel e gli indicò la strada per arrivare in fretta.
Eccoci esclamò la fatina
Il cane alzò lo sguardo e vide un albero altissimo che svettava sul resto del bosco. Il tronco possente presentava tagli profondi, incisioni ed era ombreggiato da una chioma fitta, attraverso cui stentavano i raggi.
Benvenuta!
Axel non credeva ai suoi occhi. L'albero si era inchinato e aveva fatto salire la fata su un ramo.
Cosa posso fare per te? Stai cercando l'amore? Un elfo dai gialli occhi oblunghi?
No vorrei conoscere il suo futuro...o almeno una parte. E indicò il cane.
Pampuelo si inchinò di nuovo e poggiò un ramo sulla sua testa.
Axel per un attimo pensò di volare. Stesi ai suoi piedi valli e fiumi e mari e isole..
Ai suoi piedi? Era dunque un uomo?
Le narrazioni possono aiutare gli studenti a credere nelle proprie capacità e potenzialità, elementi chiave per imparare e per imparare ad imparare. L'azione narrativa si afferma come possibilità, per l'allievo, di stabilire un dialogo con il suo mondo, quello personale, e con il mondo che è altro dal suo.
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